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“LE MIE GIOIE TERRIBILI” LA PRIMA OPERA AUTOBIOGRAFICA DI ENZO FERRARI: NELLE PRIME EDIZIONI 1962-1963. Recensione a cura di Fabrizio Pagotto.

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Per riuscire a comprendere il motivo per cui Enzo Ferrari decide di scrivere la sua prima opera autobiografica “LE MIE GIOIE TERRIBILI”, bisogna inquadrare il momento storico ma soprattutto le vicissitudini che lo hanno portato a raccontare il suo percorso di vita.

Tra le ambizioni del giovane Enzo Ferrari, quella di voler fare il giornalista scrittore, il tenore di operetta, il pilota e il costruttore di automobili.

Senza particolari pretese scrisse e pubblicò a sue spese alcuni libri che poi regalava a pochi privilegiati. Le case editrici si sarebbero contese con importanti cifre la possibilità di pubblicarli in copiose tirature, ma il grande vecchio voleva fare da sé.

Un simpatico estratto dal libro, dipinge un giovane Enzo Ferrari con già le idee chiare su quello che sarà il suo futuro.

“Le zanzare erano fastidiose quella sera di agosto. Avevo tra le mani un giornale illustrato di automobilismo stampato a Torino. Me ne servivo per scacciarle. Improvvisamente Peppino, il grande amico della mia adolescenza, mi chiese: <<Tu che cosa farai da grande?>>. Sotto la luce incerta di un lampione a gas della barriera daziaria di Modena gli additai una fotografia in prima pagina. IL RAFFAELE DE PALMA, diceva la didascalia, ANCORA UNA VOLTA PROTAGONISTA AD INDIANAPOLIS, LA GRANDE COMPETIZIONE AMERICANA. <<Farò il corridore>> risposi”.

Inizia così, dall’ambizioso sogno di un ragazzo, l’irripetibile avventura di Enzo Ferrari, come lui stesso racconta in questa autobiografia, uscita nei primi anni sessanta, quando il “Drake” era l’italiano più famoso al mondo, prodotta all’inizio solo in edizioni private e quindi sconosciute al grande pubblico.

Con stile asciutto e schietto egli snocciola pareri, dati ma soprattutto ricordi.

L’infanzia felice, l’officina di carpenteria del padre, le corse a cui assiste da bambino, il periodo difficile della guerra, l’esordio da pilota nel 1919.

Il 5 ottobre 1919 Enzo Ferrari irrompe nel mondo dell’automobile disputando la PARMA-POGGIO classificandosi al 4° posto: nessun bagliore in un’esperienza che durerà dieci anni. Dichiarerà qualche anno dopo <<La mia grande passione non è mai stata guidare le macchine, ma farle nascere>>.

Solo nel 1929 con la sua Scuderia Ferrari e con piloti del calibro di Nuvolari, Varzi, Campari, Fagioli e Chiron, le loro Alfa Romeo ottengono una raffica di vittorie.

Arrivano poi gli anni del predominio tedesco, protagoniste Auto Union e Mercedes che coincidono con la nascita di quell’orgoglio profetizzato dai cultori della razza pura.

Solo nel 1935 il grande Nuvolari riesce ad infliggere una vittoria che ha il sapore di un affronto al nascente nazismo, vince infatti il Gran Premio di Germania.

Mentre venti di guerra oscurano gli orizzonti europei, Enzo Ferrari, ancora legato dall’impegno stipulato con l’Alfa, è obbligato per quattro anni a non costruire automobili con il suo nome.

Nel 1939 nasce così la AUTO AVIO COSTRUZIONI che realizza componenti per aerei, macchine utensili ma non ancora automobili. Nel 1940 nasce la prima realizzazione automobilistica denominata 815 Auto Avio Costruzioni, realizzata utilizzando parti meccaniche Fiat. Due esemplari gareggiano nella Mille Miglia del 1940.

Arriva la guerra e con lei distruzione e miseria.

Trasferitasi a Modena, l’officina è distrutta dai bombardamenti, ma nonostante questo Enzo Ferrari non si perde d’animo e ricostruisce, non vuole arrendersi.

Per poter ritornare ai vertici servono uomini di talento, con la sua dialettica riesce a convincere Gioacchino Colombo della bontà dei suoi progetti, così facendo strappa il progettista dell’Alfa 158 alla casa di Arese realizzando il progetto della prima vettura Ferrari: la 125 GT.

L’esordio della Ferrari 125 GT non è dei più facili e l’Alfa Romeo 158 non ha rivali. Solo nel 1951 Juan Manuel Fangio riuscirà ad aggiudicarsi finalmente il titolo e successivamente Froilan Gonzales arriverà primo al Gran Premio d’Inghilterra. L’incantesimo è rotto, la Ferrari sfreccia davanti a tutti ed è l’inizio di un biennio d’oro. In questa occasione scorrono lacrime di felicità miste ad una chiara consapevolezza sull’Alfa Romeo, non a caso Ferrari dirà la famosa frase “Ho ucciso mia madre!”.  

Nel 1953 con Ascari, Farina e Taruffi, le vittorie si susseguono con tre Ferrari sul podio, l’auto e il pilota italiano si consacrano a livello internazionale.

Al biennio d’oro seguiranno una serie di sfortunate vicissitudini.

La prima sfortunata coincidenza avvenne giovedì 26 maggio 1955. Alberto Ascari, lo chiamavano affettuosamente “ciccio” per la sua corporatura tarchiata, all’età di soli 37 anni, durante una prova al volante della Ferrari di Eugenio Castellotti, si schiantò inspiegabilmente capovolgendosi, nulla poterono fare i soccorritori sul corpo ormai esanime.

Il dopo Ascari fa mancare alla Ferrari le vittorie assolute e solo il breve periodo di Fangio riesce a dare lustro al Cavallino Rampante con una vittoria al Gran Premio di Monza e la vittoria del mondiale 1956. Breve perché Fangio cambierà velocemente sedile inseguendo la vettura da lui considerata migliore.

Il dolore per la dipartita di Fangio è solo l’inizio di una catena di tragedie che Enzo Ferrari dovrà subire.

La prima è la morte del figlio Dino, la sua più forte ragione di vita, laureato in ingegneria in Svizzera era uno dei tecnici di riferimento, a lui sarà dedicato il famoso 1500 cc a V di 6 cilindri.

Il 1957 è un anno funesto che determina la fine della Mille Miglia, la causa è lo schianto delle Ferrari di De Portago e Nelson che carambolando sul pubblico, falciano la vita dei piloti e di nove spettatori.

L’indignazione della stampa e il processo penale travolgono Ferrari che medita il ritiro. La sua tempra ha però il sopravvento e rimane a suo posto.

Di lì a poco scomparirà il giovane e bello Eugenio Castellotti, legato sentimentalmente alla regina del teatro Delia Scala, pilota così detto “primavera” che fu assieme a Luigi Musso, Alfonso de Portago, Peter Collins e Mike Hawthorn tra gli “indisciplinati” tanto apprezzati dal Drake; l’uscita di strada in una curva lo portò via a soli ventisette anni.

Il 1958 non offre sconti e un altro giovane inglese, Peter Collins, al volante della sua Ferrari, sul circuito del Nurburgring, si sfascia in una scarpata uccidendolo.

Lo stesso anno è fatale per Luigi Musso al Gran Premio di Francia, protagonista con Hawthorn in un’accesa rivalità, in un’uscita di strada morirà all’ospedale.

Con la frase “…ricordare quei giovani che nell’ansia della conquista sono giunti all’estremo sacrificio”, Enzo Ferrari conclude con voce incrinata il suo discorso il 7 luglio 1960 presso l’Università di Bologna, ove gli è stata conferita la laurea ad honoris causa in ingegneria meccanica, frase che verrà però tolta molti anni nel pubblicare questa comunicazione.

In questo clima di lutti, la minaccia dei costruttori inglesi si fa sempre più concreta. Solo nel 1961, grazie allo “scontroso dal cuore d’oro” Phill Hill, tornerà il quinto titolo mondiale targato Ferrari.

Ma è solo un bagliore tra le scure nubi del fato.

Monza, 14 settembre 1961, sono passate da pochi minuti le 15:00 di una domenica di gara. Allo start Wolfang von Trips, che partiva dalla sua prima e unica pole position in carriera, al secondo giro alla staccata della parabolica la Lotus di Jim Clark aggancia la Ferrari del tedesco che esce improvvisamente di pista, rimbalza contro le fragili reti di protezione sulle quali erano stipati gli ignari spettatori. Muore von Trips a soli 33 anni proiettato fuori dalla vettura e con lui quattordici persone del pubblico.

Per Ferrari saranno due anni cupi e difficili.

Questo è forse il momento perfetto per Enzo Ferrari per dare vita ad un colloquio in solitudine, per iniziare a scrivere “la storia del suo caso” tante volte prorogata per copiosi e improrogabili impegni quotidiani, uno sfogo accompagnato dal più grande dolore della sua vita.

“Le mie gioie terribili” viene definito dallo stesso autore “un libro parlato, un racconto inedito, una confessione spregiudicata.”. E’ l’intervista della sua vita.

“A tanti anni - a tanti decenni! – di distanza, io mi ritrovo in questi luoghi, e riconosco certi alberi, certi casolari, certi fossi, quel profilo lontano del monte Cimone. Il mio lavoro ha cambiato qualcosa: per esempio Maranello era un paesino senza importanza, oggi è ingrossato e ha una scuola che porta il nome di mio figlio. Lungo questi rettifili, che io ricordo polverosi e percorsi dai buoi, sfrecciano macchine insolite. Posso dire dunque di avere fatto qualcosa? Posso dirmi contento? Posso dire di avere esaudito quei sogni di ragazzo? E’ appunto per riuscire a rispondermi che mi sono deciso a questa lunga e appassionata confessione. Il lettore sia generoso con lo <<scrittore>> come tanti lo sono stati con il costruttore.” (Enzo Ferrari).

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Recensione a cura di Fabrizio Pagotto.

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